LA VITA APPESA A UN FILO (BIAN ZHOU BIAN CHANG) |
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di Chen Kaige, con Liu Zhongyuan, Huang Lei, Xu Qing, Zhang Zhenguan, Ma Ling
(Cina, 1991)
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"I sogni sono indispensabili, poiché ci rendono la vita sopportabile. E sperare significa essere motivato: così come la corda di una chitarra dev'essere tesa, per poter risuonare". Le corde sono quelle del qin, uno strumento che assomiglia al banjo: il vecchio ed il giovane cieco protagonisti del film sperano in una vecchia leggenda. Quella che promette di riacquistare la vista a chi riuscirà spezzare la millesima corda dello strumento grazie al quale campano i due suonatori ambulanti. Sono due le storie che convivono nel film: quella privata dei due suonatori, e quella collettiva delle due fazioni che guerreggiano interminabilmente - nell'immensità del deserto - accanto a loro. La speranza è quella del giovane: che riesce a conoscere la sessualità e l'amore (in alcune delle sequenze più vibranti) malgrado la propria infermità. E l'amore rimane l'unica nota di speranza: disincantato ed amareggiato di tanta caparbia violenza, al vecchio non rimane che la musica. Orgogliosa saggezza, che lo farà passare per un santo agli occhi dei contadini, ma che non gli permetterà di riacquistare la vista anche quando avrà usato la millesima corda. Di ritorno in patria dopo tre anni passati a New York, Kaige ritrova i grandi temi che ne hanno fatto la rivelazione cinese dell'ultimo decennio: l'inserimento nella natura delle sue storie precedenti, il mito dell'educazione che era del RE DEI FANCIULLI, o la ricerca di un tema musicale che caratterizzava TERRA GIALLA. Dei tre elementi è il primo ad avere la meglio, in questo film che conferma l'enorme talento figurativo di Kaige, ma anche le incertezze di una produzione internazionale: locande addossate ad impressionanti cascate, battaglie nel deserto e fuochi da campo nei villaggi incorniciano (ma anche isolano, escludono espressivamente) il dramma dei personaggi. Iniziato nell'armonia dolce ed austera di una visione che invidiamo ai cineasti delle culture orientali, LA VITA APPESA A UN FILO termina con una canto collettivo alla Woodstock. Dalle corde del qin alle sviolinate internazionali: forse bisognerebbe saperne di più sulle vicissitudini produttive di un film che oltre che illuminarsi sul dramma dei ciechi, appare anche un po' zoppo.
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Il film in Internet (Google)
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